La convivenza è sempre un passo in avanti – talvolta un rischio, addirittura un azzardo, ma in ogni caso sempre un approfondimento – all’interno della vita di coppia. Uno degli elementi più importanti nel determinare la riuscita o meno di questo processo evolutivo è certamente costituito dai fattori ambientali in cui esso si radica. Convivere in un monolocale in centro innesca meccanismi molto differenti dal farlo in una grande casa di campagna: mutano gli spazi, le dinamiche quotidiane, la redistribuzione dei compiti. E certamente convivere all’estero è per diversi aspetti molto diverso dal farlo in Italia. La prima sorpresa, in quel di Dresda, è stato scoprire che il subaffitto, che da noi il più delle volte è un escamotage in nero per studenti in cerca di un letto, in Germania è perfettamente lecito, regolamentato e largamente praticato. Siamo stati a vedere per la prima volta quella che sarebbe diventata casa nostra nella tarda primavera del 2011, dopo una lunga ricerca sul sito wg-gesucht.de (consigliatissimo!) e una fitta corrispondenza elettronica. Una doppia firma e tre mesi dopo, ci siamo insediati. Burocraticamente è stato tutto molto semplice: bastava comunicare all’ufficio competente il proprio nuovo indirizzo per essere ufficialmente cittadini dresdesi a tutti gli effetti, senza complicazioni di sorta, grazie al nostro status di cittadini della UE. Ricevute le borse con i gadget di benvenuto, è ufficialmente iniziata la nostra vita di coppia in quella stupenda città dimenticata dal sole.
Alcune differenze rispetto alla vita italiana si sono manifestate ben presto. Innanzitutto tra le utenze mancava quella del gas, essendo lassù ampiamente diffuse le piastre elettriche invece dei nostri tradizionali fornelli. Ma questo non era certamente un problema, quale è stato piuttosto un atto teoricamente molto semplice: gettare la spazzatura. Il piccolo condominio in cui vivevamo era provvisto di bidoni comuni nel giardino interno per ogni sorta di materiale (in Germania i cassonetti per la strada sono molto rari, dato che si predilige la raccolta porta a porta), ad eccezione del vetro, curiosa assenza in quell’ordinata differenziazione. I primi tempi abbiamo smaltito i nostri vasetti di senape di Bautzen vuoti“abusivamente”, in punta di piedi, nei bidoni del ricovero per anziani dall’altro lato della strada, prima di trovare i cassonetti per il vetro rispettivamente bianco, verde e marrone alcuni isolati più in là. Una volta limate questa e altre piccole novità gestionali nella conduzione del nostro nuovo nido sassone, il tutto si è svolto senza troppi problemi: anche là c’è chi non chiude la porta d’ingresso comune, chi tiene la musica alta fino a notte fonda, chi è un po’ troppo invadente negli spazi condivisi. E’ il prezzo da pagare per essere ormai troppi, e un po’ allo stretto, in questo mondo.
La percezione di essere diventati cittadini del quartiere ci è stata data dal venire ormai riconosciuti dal macellaio, dalla parrucchiera e dal gestore del negozio di telefonia, ma soprattutto dal ricevere a casa un invito a partecipare al referendum cittadino sulla possibile privatizzazione degli ospedali, ed è stato bello – in pieno inverno – imbacuccarsi per andare a esercitare, anche là, il nostro contributo alla democrazia. Ma il giorno in cui siamo diventati veramente cittadini di Dresda è stato quello in cui ci siamo sorpresi nell’apprendere che là è possibile aprire casa agli addetti alla lettura dei contatori senza ipotizzare come prima cosa che possano essere dei truffatori, realizzando che se da un lato casa propria è ovunque ci sia uno spazzolino, è altrettanto vero che è la forma mentis che ci suggeriscono i vari luoghi a determinare quale sia il suolo più propizio in cui seminare il proprio chicco per il futuro.